4.0. Glossario
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  • Eccoci alla fase finale di studio, quella dedicata all’interpretazione. Secondo il numero di domande di autovalutazione (cinque), sembra un argomento non troppo esteso. Invece è vasto, immenso, MOSTRUOSO.… e terribilmente appassionante, non solo per il docente, ma per le generazioni di studenti che si susseguono. Le esperienze mi ha mostrato che è molto comune che gli studenti cominciano a sparare domande sull’interpretazione dal primo giorno di lezione. Ma non è un caso che l’interpretazione non arrivi che a fine percorso. Non solo è difficile, è fuorviante tentar di confrontarsi con le questioni di ermeneutica biblica prima di conoscere bene e l’oggetto stesso che è la Bibbia (fase 2 e 3) e la sua cornice naturale (fase 1). Dunque, la brevità di questa fase non rivela l’estensione dell’argomento, ma i limiti di ciò che possiamo fare. Ci limitiamo ad accennare alle questioni in due contesti: alcuni concetti basici dell’ermeneutica e i principi di interpretazione biblica formulati dalla Dei Verbum. Cominciamo con il glossario.

  • InterpretazioneErmeneutica. Ritengo i due termini come sinonimi. Teniamo le cose semplici, non solo è conveniente nel nostro livello, aiuta anche a non perdere di vista a che cosa ci dedichiamo una volta arrivati a un livello più approfondito. A che cosa mi dedico? Allo stesso che faceva mia nonna quando leggeva il Vangelo: a tentar di capire il senso del testo. La differenza è che ho studiato le lingue antiche e tanta altra roba per ridurre il numero delle mediazioni che si frappongono fra me e il testo (traduttori, commentatori, editori, tele-predicatori…). Ho fatto cenno alla lettura, ebbene, ritengo anche che leggere e interpretare siano anche sinonimi. Vedo solo una certa differenza a livello di connotazione: quando uso interpretare invece di leggere, intendo che il compito sia un po’ complicato.

NOTA: denotazione allude a ciò che le parole significano (la realtà alla quale puntano) e connotazione allude a ciò che evocano (quelli aspetti della realtà che vengono sottolineati).

  • Genere letterario. In teoria della letteratura viene definito come orizzonte di aspettative di lettura e non ci sono che tre basici: lirica, epica e dramma. Quando uso questa definizione, i miei colleghi cresciuti negli studi clericali mi guardano come se fosse arrivato da Marte. Speriamo che la situazione si normalizzi in futuro ma, per il momento, dovremo prendere atto che il concetto “genere letterario” ha acquistato negli studi biblici un senso alquanto idiosincratico. Non è che quel senso sia irrilevante, ma è assai autoreferenziale. Si parla di genere letterario negli studi biblici per dire in essenza due cose: [1] nella Bibbia ci sono diversi modi di espressione: storia, poesia, esortazioni, preghiera…; [2] i modi di espressioni della Bibbia non coincidono necessariamente e in tutto con quelli nostri, sia por motivi temporali (antichità) che per motivi spaziali (Medio Oriente Antico).

  • Analogia della fede. Designa la necessaria armonia esistente fra le verità della fede. Per approfondire, vedere ciò che si spiega – spero – in Teologia Fondamentale.

  • Testo. Ho già anticipato una definizione: unità minima di comunicazione (per scritto). Metto “(per scritto)” fra parentesi, perché in un contesto orale si direbbe piuttosto “discorso”, ma non è raro trovare “testo” per analogia in qualunque contesto. Anzi, la disciplina che studia l’argomento si chiama linguistica testuale. Forse a qualcuno può sembrare che sto scoprendo qua l’acqua calda. Invece, la scoperta dell’acqua calda della linguistica è avvenuta negli anni ‘70 del secolo scorso, quando i linguisti si sono accorti che gli esseri umani non si comunicano tramite frasi – meno ancora tramite parole – ma tramite testi. Ciò ha dato luogo allo stabilimento di una nuova area della linguistica, chiamata la pragmatica, che veniva a aggiungersi a quelle già stabilite, che sono in successione: fonetica/fonologia (studio dei suoni), morfologia (forma dei termini), sintassi (funzione dei termini in collegamento), semantica (significati potenziali delle parole). La pragmatica va alla ricerca del senso e degli effetti delle emissioni comunicative compiute: testi (o discorsi).

  • Autore. Se prima ho scoperto l’acqua calda, adesso tocca scoprire la ruota (“inventar la rueda” è l’equivalente spagnolo di “scoprire l’acqua calda”). L’autore è colui che scrive il testo. Posso immaginare le gride di entusiasmo e le lacrime di ringraziamento che suscita questa scoperta sconvolgente. Scherzi a parte, dovevo dire la parte scontata prima di complicare le cose. Che cosa dire quando più di un soggetto interviene nella creazione di un unico oggetto testuale? Ci può essere chiamato autore di un tale testo? Le possibilità sono: il primo, l’ultimo o tutti (si potrebbe anche proporre il terzo o il quindicesimo, ma risulta poco convincente…). Non perdo tempo con gli scarti e vado subito al sodo. La linguistica testuale insegna che, anche se di solito un testo viene prodotto tramite una molteplicità di atti di enunciazioni (non è frequente scrivere testi di scatto, come – ahimè – sto facendo io in questo momento), il testo nasce da un unico atto di enunciazione e cioè quello che costituisci la sua chiusura. Dunque, l’autore di un testo è il responsabile del punto finale, vale a dire, colui che ha fatto l’ultimo intervento significativo sull’oggetto e lo ha reso disponibile per la distribuzione. Questo non è un dogma di fede, ma un principio di linguistica che aiuta alla riflessione. Tale principio spiega molto bene, per esempio, che si possa dire che il Papa sia l’autore di una enciclica sulla quale non ha fatto quasi altro che apporre la firma.

  • Esegesi. Io direi che il senso di base del termine è “spiegazione”, ma la varietà di definizioni, accezioni e usi di questa povera parola che potete trovare in giro può risultare scoraggiante. Io dico la mia, assumendo il rischio di complicare le cose. Negli studi biblici ci sono tre approcci metodologici, che costituiscono una successione (gli ultimi presuppongono i primi):

    1. Introduzione. Definizione della cornice ermeneutica che permette sfruttare al meglio il testo. Si tratta soprattutto di ricavare l’informazione che il testo dà per scontata e che, nel caso dei testi antichi, spesso un lettore contemporaneo non possiede. Solitamente si studiano i contesti storici, letterari e teologici/religiosi.

    2. Esegesi. Sarebbe la lettura analitica del testo. In un lavoro di esegesi di parte da un testo (per esempio, il racconto del Diluvio o la parabola della zizzania), se analizza sequenzialmente e quello che viene fuori, viene fuori. Presuppone che ha chiarito le idee dal punto di vista introduttivo.

    3. Teologia biblica. Sarebbe la lettura sintetica del testo. In un lavoro di teologia biblica si parte da un tema (per esempio, la fede, l’alleanza…), potendo anche delimitare una parte del testo (per esempio, nelle Lettere paoline, nella Genesi…) e si tenta di arrivare a una sintesi. Presuppone che si riesce a spiegare (esegesi) i singoli passi considerati. Non rinuncio a dire che non mi piace l’espressione “teologia biblica”. Ci sarebbe allora una “teologia non biblica”? Se è vero che la Bibbia è l’anima della teologia (Dei Verbum, n. 24), quella sarebbe una teologia senza anima (zombie?).

  • Senso e significato. [Chi manda a me complicarmi la vita in questo modo!]. FIUMI DI INCHIOSTRO sono corsi su questa distinzione e io mi accingo a farla finita con un paragrafo. Avete pietà, misericordia e comprensione. Dico qualche idea e vi prego di considerare la questione aperta. Parliamo di significato di solito in riferimento alle parole. Infatti, le parole non hanno un senso, ma potenziali significati. A una parola corrisponde una voce di dizionario, che non stabilisce ciò che si vuole dire (non si vuole dire nulla), ma elenca le possibilità significative (accezioni). Il senso è da cercarsi in propriamente solo nelle emissioni compiute: i testi. Allora, in quanto studiosi della Bibbia andiamo alla ricerca del senso. Di quale senso? Quello inteso dall’autore (intentio auctoris)? Così la pensava l’ermeneutica romantica, ma senza pretendere che il testo sia nato per generazione spontanea, solo cercherò ciò che l’autore voleva dire nella misura in cui l’autore sia riuscito infatti a dirlo nel suo testo. Per ciò preferisco usare un’espressione alternativa di tipo metaforico: intentio operis. Riconosco di aver mutuato l’espressione da I limiti dell’interpretazione di Umberto Eco, ma lo stesso San Tommaso d’Aquino già puntava in quella direzione: Illa ergo prima significatio, qua voces significant res, pertinet ad primum sensum, qui est sensus historicus vel litteralis (Summa Theologiae I q. 1, a. 10): cioè, il senso letterale è quello che dicono le parole.